Cenni biografici

CENNI BIOGRAFICI

Nicola Jannelli, nato a Cariati (CS), il 18 aprile 1949,
ha vissuto e lavorato a Roma.

La sua vita è stata segnata da un male incurabile
e il Signore l'ha accolto nelle sue braccia il 17 gennaio 2005.

Lo STUDIO D'ARTE era sito in  P.zza S. Giovanni in Laterano, Roma

Da sempre attratto da ogni forma di arte figurativa, si è espresso  attraverso la pittura e la grafica. Ha operato con successo come vignettista. Si è dedicato con grande passione all'immagine video ed anche in questo campo è emerso agli occhi della critica specializzata.

Ideatore e fondatore con altri del
«Centro Artistico Culturale Laterano» Roma.

Ha esposto in numerose città d'Italia e all'estero. Alcune sue opere si trovano presso i Musei Vaticani e in molte collezioni pubbliche e private.

 

GALLERIA FOTO:
momenti indimenticabili nello studio, nelle gallerie d'arte,
in occasione delle sue mostre, tra i suoi quadri e i suoi amici

 

IL PERCHE' DELLA MIA PITTURA

L'immobilità, l'attesa dei miei personaggi ed oggetti, non sono altro che la ripetuta denuncia nei confronti di coloro che, pur dovendo e potendo, continuano a non muoversi, sorridenti e appagati nell'eterna siesta.

Il tutto si trascina con lentezza, verso dove?

La barca ferma, riflessa nell'acqua, anche lei immobile, può rappresentare, se si vuole, la nostra società, la nostra epoca, ed i grandi e sempre vivi problemi che la uccidono giorno per giorno.

Temi come la pace, la vita, la natura assassinata, l'uomo ormai reso soltanto un numero, una scheda. I non uguali messi in un angolo e considerati uguali e sani soltanto in belle cerimonie consumate all'ombra del più falso ed ingiusto pietismo.

Il mio messaggio pittorico è rivolto sì alla gente del Sud, ma vuole essere anche un incontro con tutti gli altri.

Molti si possono riconoscere in essa, molti non ci si vogliono rispecchiare.

Il più delle volte quella barca, quel contadino e la mensa apparentemente povera, sono le cose che ci appartengono e che stiamo perdendo, il nostro passato, le nostre origini.

All'uomo nato e rinchiuso nel guscio della grande città voglio dire che quella donna in attesa, che spesso ritraggo, ha gli stessi sentimenti e vive le stesse angosce è di colei che attende alla finestra del grande palazzo di cemento e di plastica.

L'uomo che ara la terra o tira su con fatica la rete nella sua barca, quell'uomo, in ultima analisi, anche se il tutto va osservato con ottiche diverse, ha le stesse responsabilità dell'altro suo uguale che guida un tram, che respira l'aria densa di una fabbrica o che vive rinchiuso tra le quattro pareti di un ufficio.

Il fine è sempre lo stesso, e si chiama sopravvivenza.

La vecchia lampara abbandonata, l'ulivo morente, possono benissimo rammentarci con continuità il dramma dell'emigrazione, della disperata solitudine di certi uomini e di certi luoghi.

Possono anche, basta volerlo, farci meditare sull'amarezza che provano coloro che non sono riusciti a raggiungere nella vita le mete prefisse, il lavoro sperato, i modi di espressione sognati.

C'è chi abbandona la lampara e chi invece è costretto a lasciare la penna o i pennelli, ebbene, ecco che il tutto assume un unico aspetto, lo stesso filo conduttore.

All'orizzonte appare sempre l'uomo con i suoi drammi, le sue infelicità, le sue irrealizzazioni, e, perché no, anche le sue piccole conquiste, mete raggiunte e superate che lo aiutano ad andare avanti, a pensare al domani, a sperare.

Dopo la notte l'alba sorge sempre e chissà che domani non sia anche una bella giornata di sole.

Nicola Jannelli - 1983

(Risposta alla recensione di Paolo Olivieri del Novembre 1984)

... Ciao Paolo, è molto bello ciò che hai scritto di me, tutte le belle parole ed i complimenti che mi hai dedicato, nascono dalla penna di un amico e sono contento che tu pensi di me tali cose.

La frase più bella è quella che si riferisce alla « dolcezza del musicista », è un grande complimento ma onestamente so di non meritarlo, la Musica è I'Arte delle Arti e credo sia impossibile realizzare un'opera pittorica talmente bella, sofferta e vera da poterla paragonare a quella che è la Musica, perlomeno io credo che non ci riuscirò mai.

La Musica la ascolto e me ne servo per dipingere, riesco a trarre da essa grandi messaggi che poi cerco di imprimere sulle tele, quello che ne viene fuori è sempre e solo una piccola parte delle sensazioni di quiete, felicità e sgomento che il suono di un violino o di un'altro strumento, possono dare.

Da bambino sognavo anche di diventare un musicista e di poter suonare il violino, mi interessava però anche la pittura e come vedi ho scelto quest'ultima. II sogno del violino però non si è mai assopito completamente e credo che resterà in me sempre pronto a risvegliarsi, ogni qualvolta il dolce suono di questo strumento, incontrerà i miei sensi.

I riflessi di luce dei quali hai scritto, sono anche i riflessi dei miei soggetti, i quali si « riflettono » all'infinito e stanno a significare la doppia espressione, il doppio, e quindi anche l'uomo con i suoi problemi, le sue maschere e la sua personalità forzatamente sdoppiata. C'è la maschera che la società ci impone e c'è anche la vera immagine di quello che siamo dentro, di quelli che sono i nostri pensieri più o meno nascosti.

C'è il grande sole che rappresenta la luce, il calore e quindi la vita, ma il grande sole è anche il grande cerchio in cui tutti siamo costretti a giocare, a correre, vivere e morire, come in un grande circo dove anche gli spettatori inconsciamente diventano protagonisti, trattenendo il fiato per il trapezio e ridendo per il pagliaccio.

Ma ora credo di essere andato troppo oltre cercando di rispondere a domande che non mi hai mai fatto, cercherò di approfondire pittoricamente i concetti che ho espresso prima, mi sono messo già al lavoro, per ora soltanto a livello di studio e quindi di bozzetto per la prossima mostra, e chissà, forse ti troverai costretto a dover ritrattare certe frasi come « dolcezza della musica » per passare a parlare di una melodia meno dolce ma molto più forte e capace di scuoterci più profondamente come ad esempio la toccata e fuga di BACH.

Nicola JANNELLI - Dicembre 1984

- Non è retorica -

Sono vari anni ormai che dipingo, disegno segno e ricerco, ho attraversato periodi di grande fecondità e altri invece in cui le idee confuse non riuscivano a trasmettere alle mie mani il giusto pensiero. Ho dipinto di tutto, molte volte sono giunto a false conclusioni, e certo di avere raggiunto la meta, mi ritrovavo sempre a dover ricominciare. La meta non si raggiunge mai, quando termini una tela dove sei convinto di aver inserito i tuoi giusti pensieri, e i colori sono veramente quelli che tu volevi, come pure il segno che li scontorna o li unisce è giusto, in quel momento che precede il rituale della firma, gioisci, ti sembra di aver compiuto chissà quale opera, subito dopo però la felicità è offuscata da qualcosa che tu già conosci, sai che domani quella tela non sarà più come la vedi oggi, qualcosa nell'opera forse non funziona, continua a piacerti ed a coinvolgerti, ma i vecchi dubbi si riaffacciano e ti assalgono. Inizia così la nuova ricerca, pensi già alla prossima opera, la nuova tela è li pronta che ti sfida, tu come sempre raccogli l'invito e dipingi dipingi...

Dipingi per mesi od anni un tema che senti, racconti immagini che pensi possano essere lette e comprese dagli altri, quando questo però non avviene, ti sembra di aver sbagliato tutto, ti senti confuso ed anche tu quasi non credi più al tuo stesso pensiero. Ecco allora la famosa crisi dell'artista, mancanza di idee, confusione, non riesci più nemmeno ad impastare i colori, ti senti perduto. Tutto questo può durare molto o molto poco, dipende da come sai guardarti intorno, un sasso gettato in un angolo di una strada, può aprire una grande finestra nella tua fantasia e tutto un mondo di nuove idee e di colori, si sprigiona da te per andare ad impregnare le nuove tele. Ho dipinto sempre il mio sud e sempre ho smesso di farlo, vivendo in una grande città come Roma, dipingere il mio meridione, mi sembra a volte assurdo e retorico, quando poi torno al mio paese, ed incontro quei volti che ho smesso di rappresentare, quelle case bianche e le vecchie barche ancorate da sempre alla grigia sabbia ed alle pietre, allora mi rendo improvvisamente conto che non è retorica, è verità attuale e come tale deve essere riproposta e letta. L'uomo che dipingo, può essere benissimo l'uomo della grande città, l'autista dell'autobus o l'impiegato del ministero, basta soltanto sostituire i suoi panni con altri panni.

Nel mio raccontare, soltanto volendolo, si può leggere l'uomo con i suoi drammi, il suo lavoro, la sua angoscia e le sue felicità. È bello ricordare la vecchia casa in campagna, la brina, la neve, il sole, il mare ed il silenzio dei campi, con l'odore che da tutto questo si sprigiona. Perché non dirci queste cose, perché non raccontarci le nostre tradizioni e quello che inconsciamente nascosto in qualche angolo remoto della nostra memoria, ci dice il nostro passato e chi eravamo, che siamo solo degli esseri umani con i nostri sogni, le nostre fantasie le nostre mete. Qualcuno recentemente mi ha etichettato come "meridionalista" dicendomi che non è più di moda, io sono meridionale, ne sono orgoglioso e come tale mi esprimo nelle idee e nei fatti. I miei personaggi non sono solo dei meridionali, possiamo ritrovare queste scene e questi figure anche nei paesi del centro e del nord, sono uomini e donne del nostro paese e dirò di più, recentemente ho ricevuto la visita di una gallerista statunitense, si è interessata moltissimo ai volti dei miei personaggi, li conosceva già, quelle figure gli ricordavano persone e scene della sua California, il mio linguaggio quindi è molto più ampio, basta soltanto volerlo leggere. Dipingere una scena di vita non è moda, comunicare con una tela od un pezzo di granito non vuol dire necessariamente dover riproporre la minigonna, il cappellino a pois o la bistecca liofilizzata. L'Arte se tale vogliamo chiamarla, è al di fuori di certe "periodicità". Essa raccoglie tutte le mode dei tempi, le elabora, le unisce in un unico pensiero che poi deve riproporre con linguaggio fruibile da tutti, un linguaggio per gli uomini di ieri e per quelli di domani. Fare pittura o scultura o scrivere o recitare e farlo con serietà cercando di comunicare con il prossimo, è Arte.

È probabile che molti non saranno d'accordo con quello che dico, anche altri hanno le loro verità, e come tali vanno rispettate, se questi altri non sono in accordo con il mio pensiero, vuol dire che non siamo fossilizzati, vuol dire che ci stiamo muovendo ed allora siamo vivi. Possiamo incontrarci e parlare delle nostre verità, unirle e riproporle per continuare l'antico discorso dello scambio e della conoscenza, l'antico proposito dell'Artista che è stato e sarà sempre quello di comunicare.

Jannelli - 1985

"... I momenti di riferimento sono svaniti e confusi, qualcuno o qualcosa ha giocato con loro, la mia ricerca è continua ed estenuante, .. tutto è offuscato come una fitta nebbia che solo a momenti si apre, si squarcia e allora, a fatica, intravedo macchie di colore in movimento, figure, oggetti, pareti, maschere e immagini confuse; è il caos e poi l'abbandono, il silenzio, l'attesa sempre in bilico (...). La fantasia a fatica cerca approdi sicuri o almeno leggibili; spesso mi illudo di averli trovati, allora dipingo".

Nicola Jannelli  - 1998

"L'INTIMO COLLETTIVO"

   Penso che chiunque osservi un'opera, abbia il diritto di "leggerla", senza il bisogno che qualcuno debba accompagnarlo per mano, su percorsi a volte estremamente distanti da quelli che l'autore ha tracciato o che ha provato a tracciare.
   Che ognuno si rivolga alle opere con l'idea che non basta guardare, occorre "vedere".
   Dobbiamo dare libertà ai sentimenti, alle sensazioni che inconsciamente portiamo con noi.
   Siamo tutti viaggiatori su un unico grande treno e anche se ognuno di noi occupa uno scompartimento privato, di prima o di seconda classe, il viaggio lo facciamo tutti insieme.
   In questo andare, ciò che ci unisce è la vita, l'amore, la morte, l'intimo di ognuno di noi.
   Un quadro, una mostra, un concerto o una poesia, se visti, ascoltati o letti da più persone, diventano momenti di aggregazione, momenti di unione di sensazione e di stati d'animo, momenti che costituiscono "l'intimo collettivo".

Nicola Jannelli

Se ti incontro per strada e ti sorrido,
non credermi folle.
Quando il nostro tempo sarà andato,
io sarò il tuo testimone e tu il mio.
Per ricordare tutto ciò che abbiamo fatto
e allora sarà impossibile mentire.

 

 

4 autoritratti ironici
tecnica, matita su carta - 2001.

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